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Nuove tendenze nel mercato dei crediti non performing: l’avvento degli Stage 2

Dai dati ai modelli predittivi, la tecnologia è strategica per introdurre strategie di gestione orientate a questo segmento

 

Vanes Bolandrini
Direttore Generale

 

Nel mercato dei crediti non performing, stanno emergendo dei nuovi protagonisti che meritano l’attenzione di tutti gli operatori. Sono gli Stage 2, crediti che manifestano un aumento significativo del rischio, ma senza evidenze oggettive di una riduzione di valore. Si tratta quindi, a tutti gli effetti, di crediti “vivi”, che hanno una buona probabilità di essere riportati in un contesto virtuoso, purché siano intercettati per tempo, monitorati e gestiti in modo efficace.  

 

Gli Stage 2, una nuova opportunità

 

Secondo il più recente report di Pwc dedicato al mercato italiano degli Npe (Non performing exposures), lo stock dei crediti Stage 2 in Italia è cresciuto di oltre il 25% negli ultimi cinque anni, raggiungendo, nel giugno 2023, quota 211 miliardi di euro. Il nostro Paese si colloca al terzo posto in Europa per dimensioni del fenomeno, dopo la Francia (435 miliardi di euro) e la Germania (212 miliardi di euro), ma è in testa alla classifica per incidenza di questi prestiti sul portafoglio totale dei crediti: l’11%, rispetto a una media delle banche europee intorno al 9%. 



Vale la pena ricordare un altro dato proveniente dallo stesso report: tra il 2020 e il 2023 sono stati erogati in Italia oltre 340 miliardi di euro di prestiti con garanzie statali, che hanno generato uno stock di prestiti di circa 230 miliardi di euro (dati a giugno 2023). Questi finanziamenti, in larga parte, hanno beneficiato di un periodo di preammortamento (in media 17 mesi), che ora si è generalmente concluso. Non è un caso se, con l'inizio del rimborso del capitale, si è registrato un aumento del corrispondente tasso di insolvenza dei prestiti, che rimane costantemente superiore a quello delle imprese che non hanno utilizzato le garanzie statali (2,1% rispetto all'1,1%; dati di giugno 2023).  

 

La sensazione è che il rischio sia sotto controllo, grazie all’imponente processo di deleveraging, ossia di riduzione del livello di indebitamento delle istituzioni finanziarie, orchestrato dalle banche domestiche a partire dal 2015. Tuttavia, questi crediti richiedono un’attenzione particolare. Evitando un ulteriore deterioramento, infatti, si riduce l’impatto sul creditore in termini di coperture più elevate (e costose) e di ulteriori effetti sul piano finanziario in caso di classificazione a Stage 3, ovvero a Utp (Unlikely to pay) e Npl (Non performing loans). Gli Stage 2 possono quindi rappresentare un’opportunità per molti attori attualmente concentrati soprattutto sulla gestione dei crediti deteriorati.  

 

Anticipare il deterioramento

 

A fronte di queste considerazioni, emerge la necessità di definire un approccio che consenta di monitorare gli Stage 2 e definire meccanismi correttivi rapidi, in caso si evidenzino segnali di deterioramento.  

 

Nonostante la loro rilevanza crescente, non esistono al momento strategie di gestione orientate a questo segmento di mercato. La tecnologia risulta quindi essere essenziale per mettere in atto un processo basato sul potenziamento degli early warning.

 

Sono quattro i pilastri portanti di una strategia di monitoraggio e gestione efficace dei crediti Stage 2.  


In primo luogo, i dati, cuore pulsante di questo approccio. È necessario ampliare il corredo informativo, integrandolo con le posizioni del cliente presso altri intermediari, e ricorrendo anche a fonti esterne, che consentano un confronto con situazioni simili, per rendere più efficaci i meccanismi preventivi, attraverso un'analisi complessiva della situazione creditizia.  

Seguono i Kpi (key performance indicator). Studiare e perfezionare le metriche di rilevazione è infatti essenziale per intercettare situazioni potenzialmente critiche. In questo senso, definire indicatori il più possibile specifici - in riferimento al settore di appartenenza e al ramo di attività dell’azienda - consente di distinguere situazioni idiosincratiche, relative a un singolo cliente, da dinamiche di mercato più generali.  

 

Il monitoraggio è un altro pilastro fondamentale, e deve riflettere un approccio proattivo che guardi alle tendenze delle controparti. L’obiettivo è individuare immediatamente i possibili segnali di deterioramento, così da avere la possibilità di intervenire per tempo, definendo i meccanismi correttivi adeguati ad ogni situazione. 

Infine, i modelli predittivi che, attraverso algoritmi di intelligenza artificiale e sistemi di machine learning, analizzano il capitale informativo per indirizzare le strategie di gestione più corrette in relazione alla singola tipologia di cliente.  

 

Rendere la tecnologia più democratica

 

La nuova piattaforma EPC X, che abbiamo lanciato lo scorso settembre sul mercato, integra questi quattro elementi per supportare la gestione del credito problematico in tutte le sue fasi, lungo l’intera filiera. Grazie agli strumenti di AI e machine learning facilita la definizione delle strategie di recupero e il pricing.  

La logica è modulare: in base alle proprie necessità, i clienti possono decidere di acquisire la soluzione completa, oppure di integrare solo alcune funzionalità nei sistemi in loro possesso. Una scelta che permette di democratizzare la tecnologia e aprirne i benefici anche ai servicer, che spesso non hanno la possibilità di investire in soluzioni custom, o di acquistare l’intera piattaforma. Affinché tutti, dalle grandi banche agli operatori di piccole dimensioni, possano cogliere le nuove opportunità aperte dall’avvento degli Stage 2.